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RIDENDO, L'UOMO SI SENTE VIVERE
02 Giugno 2016
PSICOLOGIA E UMORISMO
Etimologicamente, la parola "umorismo" deriva dal latino 'humorert-em' o 'umorert-rem' (umidità, liquido), che si avvicina anche al greco 'yg-ròs' (bagnato, umido). L’origine del termine sembrerebbe dunque rimandare alla medicina ippocratica che riteneva la personalità e la salute legata ai fluidi corporei, detti “umori”. L’umorismo, peculiarità dell’essere umano, rappresenta la capacità intelligente e sottile di individuare e ritrarre gli aspetti comici dell’ambiente.
La risata è un comportamento istintivo programmato dai geni umani, attraverso il quale vengono espressi sentimenti e suoni e si eseguono determinati movimenti che sono controllati dalla parte del nostro cervello più primitiva. La risata è un processo in cui, in risposta a un determinato stimolo che viene percepito comico, si produce un vissuto di piacere.
Anche le scimmie ridono in particolari situazioni ma i meccanismi neuromuscolari coinvolti sono diversi rispetto a quelli umani. Si può quindi considerare anche la risata come tipicamente umana, indipendentemente da razze e culture, tra le quali può comunque variare molto ciò che “fa ridere”.
“Non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano” (Bergson, 1900).
Nel suo saggio Il riso. Saggio sul significato del comico, il filosofo francese Henri Bergson afferma che anche quando l'oggetto del comico non è una persona, ciò che provoca la risata sarebbe comunque un aspetto di quell'oggetto che rimanda ad atteggiamenti e situazioni umane. Bergson parla inoltre di una sorta di anestesia momentanea del cuore, che permette la percezione di una situazione come comica, sospendendo la potenziale empatia con l’oggetto della risata e favorendo una certa complicità con gli altri che ridono, con i quali, più o meno implicitamente, si sviluppa un’intesa. Quest’ultimo aspetto sottolinea la funzione sociale e aggregante della comicità: le risate possono favorire ulteriormente i rapporti, sciogliendo le eventuali tensioni, diminuendo l'ostilità, accentuando la complicità e il senso di condivisione.
L’aspetto della condivisione è fondamentale quando si parla di comicità, infatti si tende a ridere perlopiù insieme agli altri - amici, parenti, familiari, o colleghi che siano - di eventi e situazioni che spesso non hanno una connotazione umoristica in sé, ma la assumono per le circostanze stesse di condivisione in cui si verificano. Dunque tali eventi e situazioni diventano divertenti per i membri del gruppo in questione, diminuendo le distanze.
Ma che cosa è che fa ridere? Alcuni studi sostengono il peso che avrebbe l’elemento sorpresa a rendere divertente una situazione, altri invece attribuiscono il potere comico all’incongruità interna di uno stimolo: tutti possiedono dei modelli cognitivi, sintesi delle esperienze passate. Quando si è esposti ad informazioni difformi da tali modelli, si coglie una incongruenza, che in alcuni casi si trova buffa.
Cosa influisce sull’atteggiamento individuale nei confronti della comicità? Esistono sicuramente delle disposizioni personali, ma sarebbero molto influenti anche le modalità “respirate” nell’ambiente in cui si cresce, dove si apprende un certo tipo di senso dell’umorismo e i modi di scherzare, di fare battute. Si immagini una famiglia come i Robinson (serie televisiva degli anni ’80), all’interno della quale il capofamiglia ride, scherza e gioca continuamente, anche per spiegare ai figli gli argomenti più delicati. Sicuramente chi cresce in una famiglia “spiritosa” avrà un atteggiamento diverso verso la comicità, rispetto a chi viene educato in un ambiente più “serioso”. Anche le abilità cognitive e intellettive sono importanti nell’atteggiamento verso l’umorismo: quanto più queste sono affinate, tanto maggiore sarà la preferenza per un numero più ampio di stimoli umoristici, oltre che per una loro più profonda complessità. Anche l’alta autostima sarebbe collegata ad un più vasto ventaglio di stimoli considerati divertenti.
Alcuni studi correlano caratteristiche della personalità con le differenti modalità umoristiche. Sembra ad esempio che gli estroversi ridano a battute semplici e a barzellette a sfondo sessuale, mentre gli introversi preferirebbero battute più complesse e sottili.
I conservatori sarebbero più orientati ad uno humour imperniato su incongruità, nonsense e sessualità. Il nonsense sarebbe molto apprezzato anche dagli innovatori, insieme all’umorismo sfumato, passibile di più interpretazioni. Alcuni studi hanno evidenziato anche differenze di genere rispetto all’umorismo: le donne preferirebbero situazioni in cui la comicità è basata su ambiguità, giochi di parole, autoironia, eventi della quotidianità. Gli uomini invece, oltre a preferire il “far ridere” rispetto alle donne, prediligerebbero maggiormente satira sportiva, barzellette, film comici, contenuti anche aggressivi diretti a particolari categorie umane (etnie, professioni etc.) Tale variabilità può riguardare anche singoli individui anche relativamente al modo di ridere.
Sembra che anche l’umore sia correlato all’umorismo in senso direttamente proporzionale: quando il primo è basso, con molta probabilità lo è anche il secondo (e viceversa), sia nel senso di ridere poco, sia per il timore di risultare offensivi, nel caso del “fare humour”.
I fatalisti invece prediligerebbero e utilizzerebbero maggiormente l'umorismo aggressivo, il quale favorirebbe l’allentamento delle tensioni e il senso di superiorità. Infatti gradirebbero di più le barzellette che ridicolizzano particolari gruppi sociali, professionali e razziali: questo sarebbe collegato ad un vissuto di inferiorità e rabbia. (Francescato, 2002)
L’aggressività è dunque una potenziale componente importante nell’umorismo, anche Nietzsche affermava che ridere significa “essere maligni mantenendo la coscienza tranquilla”. Infatti si ritrova l’umorismo in questo senso nei comportamenti considerati passivo-aggressivi e nel sarcasmo.
Ma perché aggressività e umorismo vanno a braccetto? Alcune teorie sottolineano la capacità degli stimoli umoristici sessuali e aggressivi di far sospendere temporaneamente il giudizio e l’inibizione, permettendo all’individuo di esprimerli senza disagio, attraverso, per l’appunto, la comicità. “L’uomo ridendo si libera da inibizioni e rimozioni, mette temporaneamente a tacere l’istanza della censura, offre una valvola di sfogo all’aggressività”. Ciò scrive Freud, all’interno del suo libro “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio” (1905). In questa opera, Freud descrive infatti l’umorismo come un atto creativo e liberatorio mediante il quale poter esprimere sentimenti e pensieri associati a vissuti di difficoltà e disagio in forma attenuata senza che questo danneggi l’individuo e gli altri. Quindi l’umorismo è considerato alla stregua di un meccanismo di comunicazione che favorisce l’espressione di pensieri, sentimenti, contenuti inconsci, in una forma non traumatica, ma consapevole e tollerabile. Praticamente il soggetto, più o meno consapevolmente, convoglia attraverso il motto di spirito cariche psichiche “scomode”, riuscendo sia ad esprimere certi contenuti, sia a non violare francamente la censura del Super-Io, evitando così un disagio difficilmente tollerabile. Attraverso questo meccanismo si risparmia energia psichica che viene rilasciata successivamente mediante la risata e il piacere ad essa connesso.
Altri studi
Ne “L’umorismo” (1927), Freud scrive: “L’umorismo ha non solo un che di liberatorio, come il motto di spirito e la comicità, ma anche un che di grandioso e nobilitante… La grandiosità risiede evidentemente nel trionfo del narcisismo, nell’affermazione vittoriosa dell’invulnerabilità dell’Io. L’Io rifiuta di lasciarsi affliggere dalle ragioni della realtà, di lasciarsi costringere alla sofferenza, insiste nel pretendere che i traumi del mondo esterno non possano intaccarlo, dimostra anzi che questi traumi non sono altro per lui che occasioni per ottenere piacere. Quest’ultimo elemento è assolutamente essenziale per l’umorismo…. L’umorismo non è rassegnato, anzi esprime un sentimento di sfida e costituisce non solo il trionfo dell’Io, ma anche quello del principio del piacere, che riesce in questo caso ad affermarsi a dispetto delle reali avversità.”
Freud considera quindi l’umorismo come uno dei più importanti fra i meccanismi di difesa maturi, funzione di un Io stabile, che permette la gestione delle comuni richieste pulsionali, favorisce l’adattamento alla realtà e protegge dalla patologia.
Anche ricerche e teorie più recenti si sono dedicate al collegamento tra benessere psicologico e umorismo. È stato evidenziato come quest’ultimo favorisca la creatività, la capacità di costruire l’interpretazione della realtà interna ed esterna con maggiore flessibilità e possa aiutare a ridurre stress e tensioni. Inoltre è stata sottolineata l’importanza dell’autoironia e del ridere nella consapevolezza rispettosa di sé e il loro ruolo nell’accettazione di aspetti scomodi di sé e della realtà. Attraverso l’umorismo si può prendere le distanze da questi aspetti e vengono favorite le strategie di adattamento creativo e di risoluzione dei problemi. Questi ultimi spesso vengono ridimensionati o comunque visti come maggiormente risolvibili quando è possibile utilizzare una sana ironia al posto della drammaticità e dell’ansia. Non a caso qui l’aggettivo “sana” precede la parola ironia: è fondamentale non confondere tale preziosa risorsa con la ridicolizzazione, la presa in giro, il sarcasmo, che non sono funzionali al benessere psicologico. Tutto questo è in effetti confermato dallo studio di Beerman e Ruch “Can people really laugh at themselves?" del 2011, due ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Zurigo, i quali hanno concluso che il senso dell’umorismo e la propensione al buonumore, favoriscono la consapevolezza di sé, dei propri difetti, delle difficoltà e conseguentemente aumentano le capacità di farvi fronte.
Ne Il settimo senso: L’umorismo, (1994), Forabosco descrive l’umorismo come palestra mentale e strumento per sdrammatizzare e alleggerire tensioni e conflitti o intessere relazioni sociali, elencando anche i benefici che la risata avrebbe sull’attività cardiaca e immunitaria. Su quest’ultimo aspetto si può citare anche la scoperta scientifica dello studioso Rod A. Martin, della Università del Western Ontario, specializzato in psicologia clinica, secondo il quale il senso dell'umorismo limiterebbe il calo delle difese del sistema immunitario nelle situazioni stressanti.
Il riso determina molti altri effetti fisiologici, quali produzione di endorfine, contrazione e distensione della muscolatura volontaria e involontaria, aumento e rallentamento rapido del battito cardiaco, ossigenazione del sangue e una particolare attività elettrica cerebrale, analoga a quella che si realizza quando si risolvono le incongruità presenti negli stimoli e si prova un vissuto di padronanza sulla realtà, aspetto collegato alla sensazione di autoefficacia e all’abbassamento dello stress. Tale meccanismo, insieme alla vasocostrizione periferica, che diminuisce la sensibilità dei recettori cutanei e quindi, la sensibilità al dolore, sarebbe alla base della capacità della risata di innalzare la soglia di percezione del dolore.
La consapevolezza di tali effetti ha permesso di far entrare l’umorismo all’interno di approcci terapeutici, facendo nascere vere e proprie tecniche come la comicoterapia e inserendo la comicità anche all’interno delle psicoterapie stesse. L’Association for Applied and Therapeutic Humor AATH che si occupa di ricerca e metodi applicativi dell’umorismo, definisce l’utilizzo consapevole dell’umorismo come “qualsiasi intervento che promuove la salute e il benessere attraverso lo stimolo di una scoperta divertente, l’espressione o l’apprezzamento di assurdità o incongruenze nelle situazioni di vita. Questo intervento può migliorare la salute o essere utilizzato in modo complementare per facilitare la guarigione o il coping fisico, emozionale, cognitivo, sociale o spirituale”.
Nella comicoterapia o risoterapia si utilizza in vari modi la comicità, soprattutto all’interno degli ospedali e soprattutto nei reparti infantili. I degenti, piccoli e grandi, assistono a spettacoli di clown, usufruiscono di materiale umoristico e possono interpretare loro stessi ruoli comici. Ancora una volta si sottolinea dunque l’interdipendenza tra salute e umorismo, che rappresenterebbe un fattore di protezione contro gli effetti di depressione, stress e ansia. L’umorismo infatti è anche utilizzato nelle psicoterapie e la sua efficacia è stata rilevata recentemente soprattutto in caso di disturbo ossessivo-compulsivo, ansia, fobie e depressione. (De Vito)
L’umorismo rappresenta dunque una importante risorsa nei percorsi psicologici, soprattutto se lo psicologo è in grado di utilizzarlo spontaneamente e in modo empatico e non “a caso”, per una propria gratificazione narcisistica o per spostare l’attenzione su argomenti più facili da gestire. Il cliente non deve mai sentirsi preso in giro o svalutato, ma accolto e messo a proprio agio soprattutto nei primi incontri, quando l’alleanza terapeutica ancora non è presente e ha bisogno di essere correttamente costruita affinché gli obiettivi terapeutici possano essere raggiunti.
Chi scrive, come psicologa, utilizza molto l’umorismo sia nei percorsi psicologici individuali che in quelli di gruppo. Uno dei motivi per cui lo trova utile è la maggiore facilità a comunicare determinati concetti che vengono più agevolmente colti e compresi, favorendo la riflessione e, dunque, il cambiamento. Anche in ambito formativo ha trovato funzionale l’utilizzo della comicità sia per evitare la stanchezza e i cali di attenzione, sia per coinvolgere i partecipanti, sia, ancora una volta, per rendere maggiormente fruibili e comprensibili i contenuti didattici. Chi non ricorda con piacere un insegnante o un istruttore che sapevano rendere divertenti lezioni potenzialmente complesse e noiose? L’importante è non cercare di dissimulare un senso dell’umorismo in realtà carente, ma utilizzare solo le caratteristiche realmente presenti nella propria personalità e di cui si è davvero consapevoli, affinché possano diventare anche strumenti di lavoro. Per farlo è necessario che ogni psicologo sia consapevole della propria personalità e questo si realizza soprattutto attraverso il proprio percorso terapeutico oltre che formativo nel senso didattico del termine. Ciò permette di utilizzare con efficacia aspetti di sé come appunto l’umorismo il quale potrebbe risultare anche controproducente, senza tali premesse.
Bibliografia e Sitografia
• Bergson H., (1900) Il riso. Saggio sul significato del comico
• De Vito D., Umorismo in psicoterapia, www.psises.it
• Fata A., (2002) Ridere a ... Psico-Pratika: Numero 2 Anno 2002
• Forabosco G., (1994) Il settimo senso, l’umorismo. Ed. Muzzio
• Francescato D., Ridere è una cosa seria, Mondadori, Milano, 2002
• Freud S., (1905) Il motto di spirito
• Freud S., (1927) L’umorismo
• Rod A. Martin, (2006) The Psychology of Humor: An Integrative Approach
• Rubano C., Umorismo e benessere psicologico, www.crescita-personale.it
• ViviamoInPositivo, Comicoterapia, Clownterapia, www.clownterapia.it
• Wikipedia
Articolo di Barbara Celani (Psicologia in movimento)